Negli ultimi anni anche in Italia si sta sempre più affermando la necessità di mettere in campo strumenti e policy per la riduzione del divario di genere, sia in campo sociale che all’interno delle aziende.

E se la situazione è migliorata in alcuni ambiti, come quello educativo, le disparità permangono molto forti in altre aree essenziali, come ad esempio il campo delle opportunità economiche e politiche.

È  fondamentale sottolineare quanto la parità di genere abbia un impatto diretto sui risultati economici di ogni singolo Paese e sulle aziende che ne fanno parte. Stando ad un report del McKinsey & Company Global Institute, ridurre il gender gap potrebbe aumentare il PIL a livello globale di un valore tra i 12 ed i 28 trilioni di dollari2.

Questi numeri, insieme alla posizione attuale in classifica dell’Italia, fanno comprendere chiaramente il grado di urgenza per le nostre aziende di adottare delle contromisure efficaci per valorizzare il ruolo delle donne, al fine di aumentare le revenues, il posizionamento competitivo e la reputazione ed abilitare un percorso di crescita incrementale e sostenibile.

Come misurare la parità di genere nelle aziende: la componente normativa

Gli strumenti per misurare e incentivare il raggiungimento della parità di genere all’interno delle organizzazioni esistono già: ad esempio, la certificazione UNI PdR 125:2022 – inserita all’interno del Codice delle Pari Opportunità – che dà accesso a una serie di agevolazioni di natura fiscale e in sostanza definisce le linee guida per la strutturazione di un sistema di gestione per la parità di genere all’interno delle aziende, dalle PMI alle multinazionali, con l’obiettivo di incentivare le imprese a ridurre il divario in ogni sfaccettatura, dall’accesso al lavoro, al salario fino alla tutela della maternità.

Questa certificazione definisce una serie indicatori che le aziende devono monitorare costantemente per assicurare la riduzione del divario di genere e il suo rilascio avviene da parte di organismi di valutazione accreditati. Quindi, per ottenerla è necessario valutare, misurare, raggiungere e monitorare l’efficacia delle azioni intraprese in sei differenti aree: cultura e strategia, governance, processi HR, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere e tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro.

Per ciascuna area sono individuati degli specifici KPI qualitativi e quantitativi attraverso i quali è possibile misurare il grado di maturità dell’azienda dal punto di vista della parità di genere e monitorarlo costantemente attraverso verifiche periodiche.

Gli analytics e l’AI come abilitatori ed acceleratori di una trasformazione strutturale

Se questa certificazione rappresenta sicuramente un elemento virtuoso a livello normativo per favorire la parità di genere nelle imprese, tuttavia, sono la capacità di gestione dei dati, l’utilizzo di analytics ed AI che possono davvero abilitare una trasformazione strutturale nelle aziende, accompagnate da un cambiamento culturale che spinga verso un approccio data-driven nei processi decisionali.

La valorizzazione dei dati diventa quindi un tema centrale per comprendere realmente, in maniera quantitativa ed oggettiva, utilizzando tecniche e strumenti di analytics, il grado di maturità di un’azienda nei confronti della parità di genere, in modo tale da identificare le azioni più opportune da adottare.

Ad esempio, disegnare e realizzare delle metriche di monitoraggio del differente trattamento salariale tra uomini e donne all’interno dell’azienda, per i vari livelli, reparti o geografie, può consentire di comprendere quali azioni manageriali devono essere apportate per andare a sanare il gender pay gap.

Per far ciò è necessario, soprattutto nelle aziende medio grandi con molti dipendenti, magari anche in più sedi e Paesi, avviare programmi di gestione dei dati coordinati ed efficaci, con un approccio progressivo per riuscire a raggiungere obiettivi di business incrementali e scalabili.

Ampliando lo sguardo, l’introduzione di approcci e strumenti di AI può consentire, poi, di incrementare il livello di comprensione dei fenomeni e dei comportamenti, arrivando anche a prevedere eventi futuri con un’elevata probabilità di accadimento, che possono impattare sulle risorse interne e di conseguenza sulle performance aziendali.

Ad esempio, tramite l’AI e la comprensione del testo è possibile interpretare le emozioni dei dipendenti, permettendo di valutarne l’engagement ed avere un’arma in più per affrontare situazioni delicate come il “quite quitting”: un nome nuovo, ma che identifica un comportamento esistente da tempo, che porta i dipendenti a ridurre al minimo il proprio impegno sul lavoro, impattando inevitabilmente sui risultati complessivi delle aziende.

Un’altra applicazione dell’AI a supporto dell’HR può essere legata a modelli predittivi del rischio di abbandono (i.e. flight risk) o di burn-out, permettendo così di intercettare tempestivamente i talenti che stanno per lasciare l’azienda, ed adottare le azioni manageriali ritenute più opportune. Su questo fronte, per fornire un’indicazione della magnitudo del problema, è bene ricordare che in Italia, nel 2022, 2,2 milioni di persone hanno dato le dimissioni e, quindi, cambiato lavoro, portando spesso le proprie competenze alla concorrenza. Stando ad uno studio condotto dal Center for American Progress, il costo medio per la sostituzione di una risorsa interna può andare dal 20% dello stipendio annuale per le posizioni che guadagnano tra €30.000 e €50.000 all’anno, fino al 213% dello stipendio annuale per i dirigenti che percepiscono salari alti. Se consideriamo che la RAL media italiana è di circa €30.000, possiamo assumere che il sistema aziendale italiano abbia sostenuto costi per un ordine di grandezza di circa 13 miliardi di euro legati solamente alla sostituzione di risorse interne.

Focalizzandoci sull’Italia ed il ruolo delle donne, una metrica che deve fare riflettere è che nel 2022, di 101 mila nuovi disoccupati, 99 mila sono donne (ISTAT), ribadendo, semmai ce ne fosse ancora bisogno, l’evidente disparità di opportunità nel mondo del lavoro italiano tra uomini e donne.

A livello di mercato, già alcune aziende stanno utilizzando l’AI per supportare i processi HR: in Italia, il Gruppo Esselunga, ad esempio, è riuscito sia ad aumentare la quantità di assunzioni del 10% che a velocizzare il processo di selezione tramite la definizione ed introduzione di algoritmi di Machine Learning. All’estero, Nielsen, società americana di informazioni, dati e misurazione del mercato, è riuscita ad aumentare del 48% la probabilità che un dipendente rimanga in azienda, grazie ad un modello di flight risk.

Il ruolo di guida strategica dell’HR

Affinché questo percorso porti alla riduzione, ed eventualmente chiusura, del gender gap, così come alla maggior valorizzazione delle risorse umane per impattare positivamente sui risultati di business, si deve necessariamente vedere l’HR come guida strategica a supporto del top management.

Le nuove metodologie e strumenti di data analytics ed AI, infatti, possono essere veramente efficaci solo se accompagnate da una vista esperta di processo e di industry, che identifichi le opportunità e le priorità in linea con le ambizioni e gli obiettivi dei piani strategici delle singole realtà.

E l’Italia? È a buon punto?

In un contesto in cui, secondo il World Economic Forum, l’Italia sta rallentando sulla parità di genere, è fondamentale spingere sull’adozione di policy e strumenti per la valutazione costante della situazione all’interno delle realtà aziendali. Questo al fine di incominciare ad abbattere quelle che ancora oggi sono considerate le maggior barriere d’accesso al mercato del lavoro per le donne e a ridurre le cause che aumentano il divario di genere all’interno del panorama economico. Si tratta di motivazioni principalmente legate all’interruzione o sospensione della carriera per esigenze di maternità o assistenza a familiari in difficoltà, ma anche del fenomeno delle dimissioni volontarie che deriva dalla difficoltà di conciliare vita privata e lavorativa, o ancora, dei a pregiudizi in fase di selezione che portano a escludere spesso giovani donne. 

Però quello che osserviamo è che le imprese hanno iniziato a lavorare per ridurre questo gap e stanno cercando strumenti che possano supportarle in questa trasformazione in primis culturale. Se le istituzioni possono aiutare tracciando la strada che tutte le imprese devono percorrere per diventare più sostenibili da un punto di vista “sociale”, noi esperti dobbiamo sostenerle creando gli strumenti che possano aiutarle a rimanere tali. Noi crediamo, che se ben sfruttata, l’Intelligenza Artificiale possa essere uno dei migliori alleati.


[1] https://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2022.pdf

[2] https://www.mckinsey.com/featured-insights/employment-and-growth/how-advancing-womens-equality-can-add-12-trillion-to-global-growth

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